Il Primo Giorno
La mattina del suo secondo anno di scuola
superiore era una bellissima giornata di sole, ma Chiba non poteva vederlo
perché i raggi che filtravano da dietro le tende erano insufficienti per
destarlo dal sonno. La sveglia elettronica sul comodino accanto al letto
emetteva un ripetuto bip-bip che non sortiva l’effetto sperato.
Per fortuna c’era chi sapeva che cosa stava
accadendo. Passi pesanti risuonarono sulle scale, poi la porta si aprì con un
colpo secco e proprio mentre Chiba si girava sul fianco sinistro, infastidito
da quel rumore, qualcosa si appoggiò bruscamente sopra la sua tempia, strappandolo
al sonno.
«Svegliati o farai tardi, cretino.»
La testa di Chiba scattò in alto, seguita
dal suo pugno sinistro che colpì l’aria perché il nuovo venuto ritirò il piede
di scatto, guardandolo dall’alto del suo metro e ottanta mentre mangiava del riso
da una ciotola con le bacchette.
«Mi posso svegliare anche da solo. Piantala
di farlo tu in questo modo, Toshio!»
Deglutito il boccone, Toshio ridacchiò. «Se
avessi uno yen per ogni volta che l’hai detto, a quest’ora non servirebbe più
che andassi a lavorare!» Un ghigno si allargò sul suo viso, mentre i suoi occhi
neri fissavano quelli simili del fratello.
Irritato, Chiba si alzò dal letto e chiese
in modo piuttosto brusco al fratello di uscire dalla stanza. Questi fece come
da lui richiesto, dicendo: «La colazione è sul tavolo. Datti una mossa o a
scuola dovrai andarci correndo.»
La predica lo infastidì ulteriormente, ma
l’idea non gli piaceva affatto e si diede in fretta una sistemata nel bagno di
fronte. Indossò i pantaloni neri e la camicia bianca dell’uniforme scolastica,
mentre dal piano inferiore venne il rumore della porta d’ingresso che si
chiudeva alle spalle di suo fratello. Cercò di dare una forma ai suoi capelli
corvini, con scarsi risultati.
Scese e andò in cucina, dove trovò sul
tavolo un vassoio con una ciotola di riso con alghe e del pane bianco di
fianco. Il tempo era clemente: l’orologio sulla parete segnava le sette e
trentadue. “Da come diceva Toshio sembrava molto più tardi” pensò mentre
iniziava a mangiare. Terminò il pasto con accorta rapidità, prese la cartella
che aveva appeso alla sedia vicina e uscì di casa.
La luce del sole lo accolse: facendosi
schermo con la mano sinistra per quell’attimo che bastò a far sì che vi si
abituasse, uscì dal piccolo giardino, e chiuso il cancello s’avviò lungo la
strada con la cartella appoggiata sulla spalla e la mano destra affondata nella
tasca dei pantaloni.
Un paio di deviazioni, e in poco tempo si
trovò sulla strada principale di Ayagi, nei pressi dell’ingresso ovest del distretto
commerciale. Marciapiedi e strada erano entrambe colme rispettivamente di gente
e veicoli: ovunque si posasse lo sguardo si potevano vedere palazzi più o meno
alti, molti con sopra insegne pubblicitarie. Sulla fiancata d’uno di questi un
grande schermo trasmetteva le previsioni meteorologiche: sole per tutta la
giornata.
“Una buona notizia” pensò Chiba mentre
s’apprestava a salire le scale del ponte pedonale. Due sue coetanee con
l’uniforme di un’altra scuola camminavano davanti a lui, parlando tranquillamente.
Abbassò per un istante lo sguardo sulle loro gonne a quadri, poi, giunto in
cima alle scale, le superò procedendo con passo sostenuto tra gli altri
presenti.
Al centro del ponte, appoggiata alla
balaustra, c’era una bambina con un nastro azzurro tra i corti capelli neri e
un abito bianco a un pezzo terminante in una lunga e ampia gonna.
“Ancora lei” pensò Chiba, continuando a
camminare. La bambina si voltò verso di lui con espressione vuota, fissandolo
brevemente prima di ritornare a guardare il traffico.
Chiba sospirò, indeciso tra il tirare dritto
oppure fermarsi per chiederle se avesse bisogno di qualcosa, magari ottenendo
una risposta, a differenza dell’ultima volta. “Se la gente mi vedesse
crederebbe che sono un pazzo che parla solo.”
Da quanto ne sapeva, in tutta la città
soltanto lui era in grado di vedere i fantasmi.
Corrugò la fronte, fermandosi. Nonostante
tutto non riusciva ad andarsene facendo finta di nulla. "Vediamo almeno di
non sembrare un povero pazzo." Prese dalla tasca le chiavi di casa e
quando fu in prossimità del fantasma le lasciò cadere. «Accidenti» borbottò,
inginocchiandosi per raccoglierle. Sentì una bassa risata, ma quando sollevò lo
sguardo non riuscì a individuare il responsabile tra la gente che attraversava
il ponte pedonale. "Lasciamo perdere. Concentriamoci sulla bambina."
Quando riportò l'attenzione su di lei, se la
ritrovò a un soffio dal viso. Sussultò per la sorpresa, ma riuscì ad abbozzare
un sorriso mentre abbassava di nuovo lo sguardo sulle chiavi, fingendo di controllare
che ci fossero tutte. "E ora che faccio? C'è troppa gente, se dico
qualcosa mi sentiranno. Ma è un fantasma, forse riesce a sentire i miei
pensieri." Alzò gli occhi su di lei. "Dai, dimmi che cosa ti serve
per riposare in pace."
La bambina spostò la testa di lato,
fissandolo con quel suo sguardo inespressivo. "Beh…non è che questo mi
aiuti a capire. Fai un cenno di testa, dannazione!"
Resosi conto di essere rimasto troppo tempo
inginocchiato, Chiba sospirò e fece per alzarsi prima che qualcuno si fermasse
per chiedergli se si sentiva male. In quel momento, le mani della bambina
scattarono in avanti e gli afferrarono il viso, trasmettendogli una lieve
sensazione di freddo che tutto sommato era anche piacevole.
«Che…» iniziò Chiba, ma le altre parole gli
rimasero in gola quando davanti agli occhi gli apparve qualcosa, tanto
improvvisamente da fargli spalancare le palpebre.
Piedi nudi che salgono scale di legno che
scricchiolano.
Un muro macchiato di sangue fresco.
Una figura alta di spalle, immersa nella penombra,
che trascina un corpo dalla caviglia.
Una casa a due piani che arde oltre un basso muretto,
mentre da lontano echeggia il suono della sirena dei vigili del fuoco.
Insieme alle immagini avvertì anche
sensazioni spiacevoli: confusione, agitazione, disperazione, paura, terrore.
Dolore. Alla fine Chiba si staccò dalla presa del fantasma con un grido e
crollò seduto sul pavimento, pallido in viso e col cuore che batteva tanto
forte che lo poteva sentire nelle orecchie. La gente si fermò a guardarlo,
altri lo fissarono mentre gli passavano accanto; alcuni mormoravano cose, di
cui Chiba colse solamente una frase. «Ma che gli ha preso a quel pazzo?»
La bambina era svanita. "E' così…che è
morta?" pensò sconvolto mentre si rimetteva in piedi. "Credevo in un
incidente." Comunque adesso aveva ben chiaro il motivo per cui il suo
spirito non era riuscito a trapassare.
Un forte schiaffo sulla schiena spinse Chiba
in avanti di alcuni passi. «EHI!» esclamò, voltandosi a denti e pugni stretti.
La sua espressione passò a una sorpresa quando vide un ragazzo della sua età e
altezza vestito con la sua stessa uniforme, il viso di forma triangolare e
corti capelli neri. Portava la cartella sulla schiena e aveva la mano sinistra
affondata nella tasca.
«Ehi!» esclamò quello con un sorriso
strafottente. «Meglio dire "buongiorno", non pensi?»
Chiba non si sentiva dell'umore, ma abbozzò
lo stesso un sorriso. «Non certo se finisco per vederti così presto, Shohei.»
Quello fece una faccia esageratamente
triste. «Oh, così mi ferisci! Pensavo che la lontananza per le vacanze estive
ti avesse fatto piangere sul cuscino.»
Chiba ghignò, sentendosi più rilassato. "Meno
male che sei arrivato tu." «Certo che ho pianto, ma di gioia.»
«Male, Nagase! Molto male! Un vero uomo non
piange mai. Per penitenza adesso verrai con me!»
Chiba inarcò un sopracciglio. «Io vado a
scuola. Non so quanto convenga mancare il primo giorno.»
«Ma che dici?! E' proprio perché è il primo
giorno! Tanto dopo la cerimonia di inizio anno non è che si farà granché.»
Shohei sorrise ancora di più. «Forza, non farti pregare!»
Chiba ci pensò sopra. "Non è che ha
tutti i torti. E poi non mi va più di andare a scuola, adesso." «E va
bene. Che avevi in mente?»
«E' una sorpresa.»